#06 Cantiere Arte X l’Arte: la mostra Si filii et here aperta al pubblico fino al 31 agosto 2024
Testo di Sala a cura di Lisa Parola
Spazi sospesi di pittura
Più che con l’ispirazione lavoro con l’intuizione.
Con queste parole Laura Santamaria definisce se stessa e la sua ricerca artistica. Un fare il suo che da decenni è concentrato sulla pittura ma che ogni volta riesce ad espandersi per attraversare anche altre tecniche, altri materiali e altre formalizzazioni.
Un’incessante sperimentazione sulla e oltre la tela per indagarne le infinite possibilità.
Infatti, la ricerca dell’artista – apparentemente vincolata ad un unico mezzo espressivo – si presenta come un’azione che si muove dal disegno, alla pittura, all’installazione mantenendo però il colore e le sue potenzialità come cifra di lavoro.
Fin dall’inizio del suo percorso appare evidente come il fare della pittura sia funzionale a tracciare un percorso personale che si apre allo spazio, alla ricerca analitica e all’elaborazione poetica di tracce della propria memoria visiva, dove quell’azione e quel tempo incontrano gli accadimenti della storia dell’arte.
E proprio un accadimento è l’esperienza della Chiesa di San Bartolomeo a Chateau Beaulard.
Una pittura site specific
Nell’ambito dell’arte, site specific è una definizione che si usa per parlare di un’opera quando è progettata per un luogo specifico. E in quel luogo trova il senso.
È un luogo specifico la chiesa di San Bartolomeo dove Laura Santamaria ha realizzato una pittura su tela di grandi dimensioni. Invitata dall’associazione KEART Keep an eye on Art, l’artista si è confrontata con una pala settecentesca: una Madonna del Rosario con Bambino, San Domenico e Santa Caterina da Siena, temporaneamente in restauro. E proprio come in un lavoro di restauro, Santamaria ha indagato i materiali, le proporzioni, i soggetti della tela. Come in un gioco di specchi, l’artista ha poi però rovesciato lo sguardo e ha iniziato con questa un dialogo visivo generativo, puntuale e concentrato. Per circa un mese, l’artista ha lavorato alla realizzazione di Si filii et here. Una tela (tecnica mista, 157 x 132 cm) che più che pittura è uno spazio, un complesso luogo astratto che si sviluppa e rigenera attraverso zone cromatiche. L’opera di Santamaria, infatti, raccoglie echi della pala settecentesca ma non ne riproduce figure o simbologie, piuttosto ne ricrea e ripropone un’atmosfera che si espande quasi all’infinito. Un insieme di zone dense, profonde e in divenire.
La capacità di mettersi in gioco rispetto al passato è una forma di costruzione di futuro.
Così l’artista ha definito la sua pratica, una pittura che intreccia ciò che era e ciò che è, guardando un oltre. Quella di Santamaria è infatti una pittura che invita il visitatore in un’esperienza d’arte attiva e poetica, una sorta di ‘terzo paesaggio’ dove tecniche, pratiche e sguardi distanti si intrecciano e confondono, una somma del ‘residuo’ – citando Gilles Clement – e dell’‘incolto’, uno spazio-rifugio in divenire.
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